C’era molta attesa per il ritorno di “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni e “Pagliacci”di Ruggero Leoncavallo al Tetaro alla Scala di Milano ma purtroppo è stato fatto l’errore di confidarne
la direzione musicale a Daniel Harding che non ha alcuna familiarità e competenza in questo repertorio (mentre ,ad esempio,avevamo molto amato la sua “Salome” di Richard Strauss) quando la direzione artistica del Teatro avrebbe potuto avere l’imbarazzo della scelta nel chiamare un giovane direttore italiano o una bacchetta nota dello star system internazionale . In più una violenta
agitazione sindacale ha fatto saltare la prima rappresentazione ed ha compromesso il risultato qualitativo della prestazione dell’orchestra scaligera che non porgeva sui leggii da molto tempo le due celeberrime partiture . Per quanto riguarda il cast vocale non è andata molto meglio in quanto
se nel primo avevamo la presenza di Lucia D’Intino (Santuzza), Salvatore Licitra (Turiddu) e Claudio Sgura (Alfio) in “Cavalleria rusticana” e José Cura (Canio) ed Ambrogio Maestri (Tonio)
in “Pagliacci” il secondo cast , ad eccezione forse di Kristine Opolais, non era affatto degno di un Teatro quale la Scala ed il suo ascolto era a dir poco imbarazzante per l’ascoltatore . Molto meglio
invece per quanto riguarda la regia in quanto Mario Martone ,che ha appena presentato il risorgimentale capolavoro di tre ore e mezza “Noi credevamo” allo scorso Festival di Venezia
(anche se ingiustamente non premiato) infarcito da Verdi , Bellini e Rossini, e che ha una lunga
militanza nel teatro lirico (dai celebri “Don Giovanni” e “Così fan tutte” con Claudio Abbado al
“Ballo in maschera” verdiano al Covent Garden con la direzione di Antonio Pappano sino al recente
“Falstaff” parigino, solo per citare alcuni titoli), assistito dalle bellissime scenografie di Sergio Tramonti e dagli originali costumi di Ursula Patzak nonché dall’ottima direzione delle luci di Pasquale Mari , ha creato un vero e proprio capolavoro per “Cavalleria rusticana” ricreandone
alla perfezione la polis contadina e lasciando spesso suggestivamente vuoto il palcoscenico (ma un vuoto carico di presenza e significato), forse sulle orme di Emma Dante, mentre in “Pagliacci” ha ambientato l’azione in un campo nomadi (anche se con l’irruzione suggestiva di auto di lusso), ricreato alla perfezione la situazione di teatro nel teatro con evidenti riferimenti a Pirandello e con una perfetta ricostruzione incastonata della Commedia dell’Arte e spesso, come è sua abitudine, ha spinto i cantanti sul bordo della scena ed anche fuori , mentre l’orchestra, spinta in buca, era da loro costeggiata sulla scena creando un piacevole effetto per lo spettatore che cresce in un climax vertiginoso man mano che ci si avvia verso il catartico finale (oltre all’idea geniale di chiamare per l’occasione i ballerini e mimi del Cirque de Paris) . Purtroppo però lo snobismo inconcepibile della suddetta direzione artistica del Teatro che vuole a tutti i costi épater lo spettatore
e sovvertire le convenzioni ha permesso e “ideato” l’inversione dell’ordine del dittico ovvero prima “Pagliacci” e poi “Cavalleria rusticana” che era soltanto buona per chi vuole scappare nell’intervallo mentre turba notevolmente lo spettatore fedele ed abituale (anche in considerazione della regia di Martone che ha il suo clou prorprio in “Pagliacci” e nel suo finale) . Le repliche continuano sino al
5 febbraio .
Giacomo Di Vittorio