Molto spesso ci si domanda cosa porti le passerelle di marchi tanto diversi ad assomigliarsi molto per atmosfere, temi e colori. Non è naturalmente opera del caso, nè di una geniale lontana intuizione. Ogni brand elabora gli orientamenti comuni secondo la propria estetica e la propria filosofia, ma la coerenza di fondo che poi orienterà di conseguenza tutto il mercato in maniera discendente è opera di ben definiti “manovratori”: i bureaux de style, o studi di tendenza se vogliamo tradurre impropriamente.
Strutture peculiari al contesto francese, la cui storia il sociologo Thierry Maillet ha ripercorso in occasione di una conferenza presso il prestigioso Institut Français de la Mode in presenza anche di illustri rappresentanti dei più famosi studi del settore. Un percorso affascinante, che prende il via nella Francia dell’immediato dopoguerra, poverissima di tutto e pertanto anelante di prodotti e consumi. Gli Stati Uniti furono rapidi a captare questa fame di immagini e stile, e immediatamente alla fine della guerra cominciarono a distribuire i film hollywoodiani in Francia con enorme successo.
Nel frattempo nel 1945 viene lanciata la rivista Elle ad opera di Helène Lazareff, proveniente da Harper’s Bazaar e convinta della necessità di una pubblicazione femminile di stile. Le cover di Elle da subito si fanno promotrici di una nuova immagine della donna più libera e dinamica, in pantaloni o piedi scalzi, accompagnandone l’evoluzione e la liberalizzazione.
Anche l’industria vive un momento di estremo fermento e desiderio di cambiamento, per rilanciare la produzione e rispondere alla domanda crescente di beni di consumo. Lo statista Jean Fourastié promuove allora l’iniziativa delle “missioni di produttività” insieme agli Stati Uniti: settore per settore, dalla meccanica alla moda alla stampa, i rappresentanti di tutti i livelli partono per qualche settimana intensiva nella corrispondente industria americana per apprendere e riportarne il modello produttivo. L’iniziativa riscuote un immenso successo e molto presto la Francia comincia a risollevare le sue sorti con entusiasmo.
Per la nostra storia è la missione del ’55 a rappresentare la svolta: partono giornaliste di Elle, radio, stampa, stile, tessile… e al loro ritorno subito vengono create le strutture che poi daranno corpo all’intero sistema della moda: il Comitato delle Industrie della Moda ad organizzare gli attori del settore, e il Comitato Francese del Colore, che anni prima di Pantone aveva il compito di armonizzare il colore per l’uso nei diversi campi.
Parallelamente la missione porta alla luce l’importanza della consulenza stile per una diversità di industrie con la necessità di rilanciarsi: ecco allora che nel 1957 il primo Bureau de Style viene fondato col nome di Relation Textile, il cui primo cliente è una farmacia svizzera desiderosa di rifare la propria immagine per rilanciarsi come distributore generalista. Siamo ben lontani dalla moda dunque, ma la genialità sta nell’aver compreso come nella consulenza e nello stile stesse la chiave per migliorare la produttività indipendentemente dal settore.
Negli anni successivi vengono fondati gli altri bureaux, ma l’elemento più interessante sta nella loro posizione geografica: non soltanto tutti a Parigi, ma anche nello stesso quartiere, l’uno dietro l’angolo dell’altro, e a stretto contatto anche con le sedi delle principali riviste di moda e lifestyle nonchè le organizzazioni di settore. È proprio nella prossimità della posizione che sta la forza di questi studi, la loro coerenza ed esattezza nelle previsioni e nell’orientamento delle tendenze: nonostante la feroce concorrenza essi non potrebbero esistere l’uno senza l’altro, ed è dall’assidua frequentazione che nasce il sentire comune che ne incarna la qualità maggiore.
Insieme sviluppano una vera e propria metodologia di lavoro che, pur diversificata secondo l’orientamento e la clientela di ciascuno, vede una base comune che alla creazione associa l’importanza della comunicazione, degli studi di mercato, della sociologia rapportata all’economia e allo stile. Nel frattempo le industrie si fanno sempre più pressanti nel loro costante bisogno di consulenza e orientamento, e i bureaux de style sanno coglierne il potenziale e tradurre la metodologia di lavoro per rispondere ad interlocutori più diffusi. Ecco allora che avviene la transazione da consulente a vero e proprio editore di pubblicazioni di orientamento e tendenza. È il 1972 quando Promostyl lancia il primo cahier, dedicato al colore e presentato con 18 mesi di anticipo per dare alle industrie il tempo di mettere in pratica i suggerimenti. Da allora molti altri ne sono seguiti, e tutti i bureaux si sono lanciati sull’onda. Con l’evoluzione del consumo era diventato indispensabile essere in grado di parlare ad un pubblico più vasto e interessato, su scala più ampia sino a livello internazionale.
Gli anni ’80 vedono l’apice di questa espansione internazionale e il conseguente coinvolgimento nella struttura dei bureaux della figura dell’agente, rappresentante delle pubblicazioni di tendenza.
Nei decenni che seguono sino ad oggi i mercati hanno conosciuto crisi, contrazioni ed espansioni ma i bureaux de style hanno saputo anticipare e confarsi a tutti questi cambiamenti per preservare il loro ruolo di “consiglieri segreti”. Anzi, soprattutto in tempi di crisi è ad essi che le aziende si rivolgono ansiose, poichè più che mai diventa necessario orientare la produzione in maniera puntuale.
Oggi inoltre, con l’avvento di internet e la diffusione universale della caccia allo stile, alla tendenza sino a farne dei veri e propri corsi universitari, i grandi parigini che diedero origine alla disciplina resistono caparbi e si adattano aprendo pagine su facebook e twitter, nonchè offrendo servizi di consulenza a distanza e online.
A mali estremi estremi rimedi, ma nella miriade confusa di offerte odierne restano i bureaux francesi a guidare e dare l’esempio – e il mito non accenna a spegnersi. Gli altri Paesi sono stati rapidi a prendere esempio ma la recherche de tendancenon avrebbe potuto nascere se non in Francia, e per quanto costi ammetterlo rimaniamo loro debitori fondamentali di stile.
Tanto di cappello dunque – o meglio, chapeau come si dice a Parigi.