C’era molta attesa al Teatro alla Scala per la realizzazione di “Tosca” di Giacomo Puccini a cura del regista zurighese Luc Bondy, già passata da New York e da Monaco di Baviera, ma i motivi di delusione erano molti . Lo spettacolo , già sonoramente fischiato a Monaco di Baviera ancor più che a New York, se nel Teatro bavarese aveva forse una qualche ragione d’essere, al Teatro alla Scala non ne aveva alcuna, pur essendo stata apportata qualche modifica . Se l’ “Idomeneo” di Wolfgang Amadeus Mozart , sempre per la regia di Luc Bondy, aveva fatto scappare definivamente (ma non solo per quel motivo) dal Teatro scaligero l’amato Myung Whun Chung, perlomeno quello spettacolo aveva, malgrado tutto, una sua coerenza interna ed una sua ragione di esistere, mentre in questo caso ci troviamo di fronte ad una ridicola ed insulsa lezioncina di Regietheater brechtiano (ma già queste parole nobilitano troppo l’operazione) , con nel primo atto la pretesa non riuscita di imitare Emma Dante, che non ha nulla a che vedere con il capolavoro di Giacomo Puccini , le scenografie di Richard Peduzzi sono pretenziose ma strambe e fuori luogo, i costumi di Milena Canonero poveri e scialbi e tutto è fuori contesto, persino la direzione delle luci di Michael Bauer.
Jonas Kaufmann assieme ad altri colleghi ha dato forfait nelle prime tre recite ma anche chi è venuto dopo (Marco Berti, con forse l’eccezione di Bryn Terfel) non era affatto all’altezza della situazione ed il tutto impallidiva se paragonato all’edizione del 2006 del capolavoro pucciniano al Teatro all Scala con la regia di Luca Ronconi e la direzione di Lorin Maazel (e le foto di questo spettacolo di Luc Bondy non sono nemmeno state pubblicate nel programma di sala che invece riportava delle note di regia di luc Bondy con riferimenti alle “Chroniques italiennes” di Stendhal che erano solo nella testa del regista svizzero ma non in scena ed apparivano in realtà una vera e propria illazione) . L’unica a salvarsi era la Tosca di luossuoso rimpiazzo della soprano ceco – canadese Sondra Radvanovsky , l’unica di bellissima ed appropriata presenza scenica e con una vocalità che si poteva avvicinare a quella dell’eroina pucciniana , che fortunatamente faceva dimenticare la proposta indecente di Oksana Dyka giustamente sonoramente fischiata ed indegna di un Teatro quale quello scaligero . Ma il peggio arrivava dalla direzione d’orchestra . Sebbene contestato dall’orchestra e dai sindacati del Teatro (che volevano cacciarlo dalla produzione) il giovane direttore israeliano Omer Meir Wellber, che sinceramente non capiamo per quale motivo si presenti come allievo e sotto la protezione di Daniel Barenboim, è stato fatto passare nella fossa dell’orchestra con esiti disastrosi . Troppo giovane è letteralmente incapace di leggere la partitura pucciniana tanto da non rendere riconoscibile l’orchestra scaligera che in questa pagine ha una tradizione nobile e secolare . I cantanti risultano sfasati con la fossa dell’orchestra , non c’è nessun
senso del cilmax e del dramma, alcuna percezione dell’agogica e del ritmo teatrale, ma solo noiosa routine e fastidiosa incompetenza . Ritorna ancora una volta la fatidica domanda : perchè non fare debuttare nella non facile operazione un giovane direttore italiano con alle spalle una carriera a livello internazionale e competenza nel repertorio specifico ma che magari viene boicottato in patria ? Persino il proverbiale coro scaligero, sotto la direzione di Bruno Casoni, si trovava in imbarazzo in tale contesto e le Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala svanivano sullo sfondo (quando invece nella partitura pucciniana hanno un ruolo non secondario) . Le repliche continuano sino al 25 marzo ma le possibilità di recupero sono molto dubbie .
Giacomo Di Vittorio